Domenica la Turchia al voto, Erdogan cerca lo sprint

Erdogan con la moglie in campagna elettorale.
Ma l'opposizione sogna il ballottaggio

ISTANBUL. – Il guizzo, per ora, gli manca. La scorsa settimana, Recep Tayyip Erdogan aveva promesso ai suoi di portare “altre buone notizie” nella campagna elettorale per il voto di domenica prossima, dopo l’avvio dei raid aerei contro la roccaforte dei “terroristi” del Pkk curdo in Iraq.

E adesso è toccato ai curdi di Siria: dopo mesi di sofferte trattative, e improbabili minacce di un confronto armato diretto, l’esercito turco ha iniziato a pattugliare insieme agli americani la periferia di Manbij, località strategica a ovest dell’Eufrate, dove finora stazionavano appunto le milizie curde dell’Ypg.

“Abbiamo detto che le organizzazioni terroristiche sarebbero state cacciate da lì. Hanno iniziato a essere cacciate”, ha annunciato trionfante il capo dello Stato in un comizio a pochi giorni dalle elezioni presidenziali e parlamentari anticipate, sottolineando di aver convinto gli americani “con la diplomazia”.

Ma l’effetto non sembra quello del periodo di grazia della retorica militarista del Sultano. E il colpo di reni per superare nelle urne il 50%, evitando un insidioso ballottaggio – dove partirebbe comunque favorito – sembra ancora mancargli. Stavolta, Erdogan appare costretto a giocare la partita dove non gli piace: in difesa.

Perché con la crisi valutaria della lira turca, culmine di mesi di incertezze per l’economia del Paese, i suoi sfidanti sembrano per una volta aver capito come attaccarlo. Muharrem Ince, l’esuberante ex professore di fisica campione del populismo laico, è dato in continua crescita nei sondaggi.

“Erdogan è un uomo stanco. Ci vogliono facce nuove”, ripete alla vigilia del voto il candidato del socialdemocratico Chp, stimato intorno al 30%: un consenso che il suo partito non toccava da decenni. Tenendo il Sultano sotto la soglia della maggioranza assoluta, si giocherebbe le sue carte al secondo turno sfruttando il sostegno già promessogli dai curdi e quello che probabilmente gli arriverebbe anche dal centro-destra della ‘lady di ferro’ Meral Aksener e persino dagli islamisti del Sp, che con i loro partiti si presentano già in coalizione con il Chp per il Parlamento. Tutti uniti dalla voglia di evitare “il regime di un uomo solo”, che con l’entrata in vigore dei nuovi poteri presidenziali Erdogan metterebbe al sicuro.

Peggio ancora, per il Sultano, sarebbe andare al ballottaggio dopo aver perso la maggioranza assoluta in Parlamento, come potrebbe accadere se i curdi dell’Hdp superassero di nuovo lo sbarramento al 10%. Con l’avvicinamento alle urne, però, crescono anche le preoccupazioni sulla trasparenza del voto.

Decine di migliaia di volontari vengono mobilitati in queste ore dalle ong impegnate nel monitoraggio indipendente, che sarà svolto anche da diverse istituzioni internazionali, compreso l’Osce/Odihr. I timori vanno dal conteggio delle schede non timbrate allo spostamento di seggi strategici dal sud-est curdo per “motivi di sicurezza”. E già al referendum dell’anno scorso, denuncia l’opposizione, i brogli furono decisivi.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)