Asse Di Maio-Salvini sulle Camere primo tassello governo

Anna Maria Bernini e Paolo Romani, nel Senato ANSA/ALESSANDRO DI MEO

ROMA. – Sono passate 24 ore da quando, a Viterbo, Matteo Salvini assicurava il voto compatto del centrodestra per le Camere innescando l’ira di Luigi Di Maio. Ventiquattrore che stravolgono il quadro politico italiano, lanciando un asse tra Lega e M5S finora rimasto sottotraccia e seminando, sul finora arido terreno della maggioranza di governo, l’ipotesi di un esecutivo giallo-verde.

Un esecutivo che, nello scenario che si fa avanti in queste ore, potrebbe avere Luigi Di Maio a Palazzo Chigi e Salvini con altri “big” leghisti nei ministeri “pesanti” e verterebbe, come annunciato dal Movimento da prima del 4 marzo, solo su un’intesa di programma.

L’ottovolante sul quale è catapultato il Parlamento al suo esordio chiama alla prudenza. Ma i fatti dicono che, nel corso della seconda capigruppo informale convocata a Montecitorio, la Lega, improvvisamente, appoggi il M5S nella proposta di votare per una terza volta nella giornata di oggi.

Sono le 18 circa. L’ora in cui Salvini ribalta l’alleanza di centrodestra annunciando il voto per Anna Maria Bernini. FI è spiazzata, tanto che alla prima chiama del terzo scrutinio alla Camera diserta. Di Maio, dopo una mattinata consegnata al silenzio e a un cauto ottimismo, negli attimi della rottura tra Berlusconi e Salvini è riunito con i suoi, lontano dai riflettori.

Il filo diretto con il leader leghista non si è mai interrotto in queste ore, anche in quelle più difficili. E, nei corridoi dei Palazzi filtra anche l’impressione che l’accordo tra Di Maio e Salvini sia già in cassaforte da tempo, con la candidatura di Romani avallata dalla Lega inizialmente come mero casus belli tra M5S e FI. “La linea dura ha pagato”, è la reazione a caldo del M5S prima di aprire a Bernini o a “un profilo simile”.

Affermazione, quest’ultima, che potrebbe anche lasciare uno spiraglio a Berlusconi per l’elezione dei presidenti delle Camere. Ma solo per quello perché, in vista di un accordo di governo tra M5S e Lega la conditio sine qua non del Movimento – è il refrain dei vertici – è che non ci sia l’ex Cavaliere.

E’ al traguardo finale – sebbene Di Maio abbia sempre parlato di due schemi di maggioranza slegati – che il leader M5S continua infatti a guardare. A quell’accordo sui temi che il M5S, dopo le ripetute chiusure del Pd, non ha potuto che mettere sul tavolo leghista.

Con uno schema che potrebbe vedere Di Maio alla guida di Palazzo Chigi, Salvini agli Interni o agli Esteri, qualche figura “tecnica” e pochi punti chiave da mettere in campo da qui a un anno. Ma i giochi non sono fatti. A sera resta in piedi l’ipotesi che la rottura nel centrodestra rientri, virando su un candidato di FI alla Camera e lasciando il Senato alla Lega o al M5S. Anche perché FI non cederà ad una scelta fatta da altri, quella appunto di Bernini. E, nel caso invece regga l’asse tra M5S e Lega potrebbe anche tornare in auge anche il nome di Giulia Bongiorno.

Ma se davvero l’asse reggerà sarà la base per un dialogo di governo. E nel M5S sembrano cadere quei veti che rendevano complicato l’abbraccio alla Lega. “Non credo abbia ripercussioni al Sud, io con i miei elettori avrei più problemi a spiegare un governo con il Pd”, sottolinea un deputato pugliese tra i più eletti.

E gli ortodossi? I loro malumori potrebbero essere placati con l’elezioni di Roberto Fico a capo della Camera. E’ suo il nome che, oggi, campeggiava sulla lavagna degli uffici dei gruppi. E’ lui, ad aver accompagnato, fianco a fianco, Di Maio nella giornata più cruciale.

(di Michele Esposito/ANSA)

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