Pd spiazzato e diviso sulle Camere. Affondo Napolitano

Matteo Renzi in aula del Senato riunita per la votazione del nuovo Presidente. La seduta è presieduta dal Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, Roma, 23 marzo 2018. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

ROMA. – Il voto del 4 marzo è stato “un netto spartiacque” a favore dei “movimenti” che hanno fatto “un balzo clamoroso”. Mentre il Pd è stato spedito “all’opposizione” da un risultato che ha mostrato “quanto poco avesse convinto l’auto-esaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza”.

E’ un affondo inatteso, quello che Giorgio Napolitano riserva al Pd alla prima seduta del Senato. Ad ascoltarlo in Aula c’è Matteo Renzi, al debutto da senatore. I rapporti con l’ex capo dello Stato sono tesi da tempo, ma i Dem scelgono un gelido silenzio. Parla, con toni istituzionali, Paolo Gentiloni da Bruxelles: “Massima considerazione alle sue parole, poi la discussione è aperta”.

Renzi al Senato ostenta le sue stellette da senatore semplice: “Non parlo per due anni”, dice ai cronisti, mentre racconta la sua vita tutta figli, sport, cinema e libri. Ai suoi in mattinata fa pervenire i dubbi sulla scelta di Martina e degli altri dirigenti Dem di votare scheda bianca alle prime votazioni: perché non un nome di garanzia come la senatrice a vita Liliana Segre?

Però poi attesta i suoi sulla linea di astensione sulle Camere e opposizione al governo: “Tocca agli altri, punto. Per me la discussione è chiusa”, dichiara. Ma con i suoi riconosce il rischio che su questa linea il Pd non regga. Tanto che i renziani ipotizzano – ma così non sarà – di accelerare l’elezione dei capigruppo (Guerini e Marcucci, i nomi) per blindare le scelte dei gruppi. E in serata lo stesso Renzi torna al Nazareno per riunire renziani e orfiniani.

Alla Camera, però, la linea non è così ‘aventiniana’. Il Pd deve entrare in partita facendo un suo nome, dicono l’emiliano Francesco Boccia, gli orlandiani e anche il veltroniano Walter Verini. L’ipotesi è votare Emma Bonino (o Luigi Zanda), per spiazzare sia M5s che centrodestra. Martina sente Di Maio: i “dialoganti” sono pronti a vedere le sue carte, se salterà l’intesa con Fi e Lega.

Ma è su un possibile accordo con il centrodestra che si rincorrono i sospetti. Tanto che in serata più d’uno confessa di sperare in un’intesa in extremis tra centrodestra e M5s: così il Pd voterebbe scheda bianca ed eviterebbe conte. Proprio una conta è lo scenario che il Pd sembra far più fatica a reggere. Lo dimostrano i sospetti incrociati che si rincorrono per tutto il giorno.

Gli uni accusano i renziani (Luca Lotti terrebbe i contatti con Gianni Letta) di volere la scheda bianca per far eleggere Paolo Romani e poi aprire una partita per il governo. Gli altri accusano franceschiniani e orlandiani di lavorare da tempo per ottenere d’intesa con M5s una presidenza, magari per Dario Franceschini.

I gruppi Dem sono convocati per sabato mattina alle 9 per decidere come votare. C’è chi insiste per un candidato di bandiera: non Bonino, ma uno del Pd. E fino all’ultimo c’è chi guarda a possibili intese se salterà il fronte. La notte è lunga, afferma. Ma alla prova, il Pd reggerebbe? La domanda di fondo resta questa.

(di Serenella Mattera/ANSA)