Gentiloni: “Farò il mio dovere, ma stop dibattito su dopo”

Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, durante la trasmissione televisiva di La7 "Otto e Mezzo" © ANSA

ROMA. – Se dopo il voto arriverà la “chiamata” a “una compagine di governo che non porti il Paese fuori strada, io farò il mio dovere come ho sempre fatto, o cercato di fare, in questi anni”. Ma del governo si parlerà “dopo”: ora il Pd deve “fare campagna elettorale senza dare la sensazione che il passaggio sia scontato, perché ci possono essere sorprese”.

Paolo Gentiloni prova a mettere ordine così nel dibattito che si è aperto dopo l’apertura di Marco Minniti alle larghe intese. Il ministro precisa che si riferiva a un governo di “unità nazionale”. Una differenza “non sottile”, rimarca il premier. Ma nel Pd la tensione resta: mentre Matteo Renzi da Bari fa partire “l’operazione primo posto”, Minniti – notano i renziani – sembra avere già aperto i giochi del dopo. Dopo, rassicura il premier, anche se nessuno avrà da solo la maggioranza per governare, “si troverà la strada per un governo stabile”.

Ma per il Pd ora il rischio, avverte, è arrendersi ai sondaggi – gli ultimi pubblicabili prima del “silenzio” – che descrivono il Pd ancora in affanno e pronosticano l’impasse. Ma il voto, ripete a più riprese Gentiloni, non è “una pratica burocratica”.

Anche in Germania, dice di ritorno da un incontro a Berlino con Angela Merkel, ci si è contati nelle urne prima di arrendersi alle larghe intese. Prima bisogna battere un centrodestra trainato dai “populisti” Salvini e Meloni: con loro e con i Cinque stelle il Pd “non sarà mai alleato”, dicono sia Gentiloni che Renzi. E mentre il segretario fa tappa a Bari e Matera dando il via al ‘tour de force’ pre-voto, il premier annuncia per la prossima settimana, probabilmente il 22, un evento congiunto e assicura: “Stiamo guidando questa campagna elettorale insieme, per ottenere il risultato migliore”.

“Mancano 15 giorni e ci sono un sacco di indecisi. Se noi facciamo uno sforzo saremo non solo il primo gruppo parlamentare, ma anche il primo partito”, dice Renzi spronando i militanti materani. L’auspicio è “risalire” conquistando al fotofinish i moderati che nel 2013 hanno votato Monti o il centrosinistra e ora sono tentati dal non voto.

In questo quadro i renziani restano convinti che l’uscita di Minniti su un governo di unità nazionale non aiuti affatto. A maggior ragione dopo che Renzi ha affermato di volere il voto in caso di mancanza di una maggioranza. Da sinistra affonda il colpo Liberi e uguali: “Minniti ha svelato la verità, che Renzi e Berlusconi lavorano per un governo insieme il 5 marzo”.

Ma il leader Dem guarda al 4 marzo, al risultato da portare a casa, e incalza sia Leu – “Votando loro si porta al governo Salvini” – che M5s – “Il voto non è un bonifico che si può revocare”. A Roma in serata Gentiloni, da candidato di un collegio che non è un “fortino rosso”, partecipa a un evento elettorale con Francesco Rutelli, che dal Pd era lontano da anni, e Carlo Calenda.

“Hai un carattere renziano”, scherza il premier. E il ministro, che al segretario non risparmia critiche, risponde: “Ne sono orgoglioso”. Ma è per Gentiloni che Calenda spende il suo endorsement: “A chi mi chiede se voglio fare il premier, rispondo che c’è una persona che lo fa meglio di chiunque altro…”.

Ma il presidente del Consiglio si schermisce. La popolarità nei sondaggi? “Le aspettative all’inizio erano basse, non c’è stata delusione e forse è percepito che cerco di mettercela tutta”. Berlusconi lo ha definito “gentile”? “E’ educazione”. E a chi gli domanda se Renzi sia candidato premier, risponde: “La legge non lo prevede, noi lavoriamo per avere un premier Pd”. Il nome si vedrà “dopo”.

(di Serenella Mattera/ANSA)