Addio ad Azeglio Vicini, il ct delle “Notti magiche”

Il commissario tecnico della nazionale italiana di calcio, Azeglio Vicini, in una immagine del 20 agosto 1998. ANSA/FILIPPO MONTEFORTE

ROMA. – E’ morto a Brescia Azeglio Vicini. L’ex commissario tecnico della Nazionale delle ‘Notti Magiche’ avrebbe compiuto 85 anni a marzo. È stato il tecnico degli azzurri ai Mondiali di Italia 90 che consacrarono Totò Schillaci ed è rimasto ct fino al 1991 prima di lasciare la Nazionale ad Arrigo Sacchi.

Vicini è morto nella sua abitazione di Brescia, città di residenza da sempre e dove sono nati i suoi tre figli. Da tempo era malato. Una delle ultime uscite pubbliche è stata a marzo di un anno fa quando a Palazzo Loggia a Brescia presentò il suo libro “Azeglio Vicini. Una vita in azzurro” scritto con il figlio Gianluca e la moglie Ines.

I funerali si terranno govedì 1 febbraio alle 16:30 nel Duomo di Brescia, poi l’ex ct verrà sepolto nella tomba di famiglia a Cesenatico (Forlì-Cesena).

La Federcalcio ha deciso che sarà osservato un minuto di raccoglimento su tutti i campi di calcio a partire dalla gara di questa sera di Coppa Italia Milan-Lazio e per tutto il prossimo week end in ricordo dell’ex ct. “L’Italia di Vicini – ricorda la Figc – che non ha mai perso sul campo, sconfitta solo in semifinale ai rigori dall’Argentina di Maradona”.

La carriera in azzurro di Azeglio Vicini finì il 15 ottobre 1991, con l’esonero dall’incarico tre giorni dopo Urss-Italia finita 0-0 e che costò alla nazionale italiana l’eliminazione dalle qualificazioni per l’Europeo 1992. A parte un periodo iniziale sulla panchina del Brescia, Vicini ha percorso tutta la sua carriera di allenatore nell’ambito azzurro, dove era entrato nel 1969 come responsabile della Under 23 e poi della Under 21. Alla guida degli azzurrini (debutto il 16.4.’69 a Udine: 1-0 sulla Romania) ha sfiorato il titolo Europeo nell’86 (sconfitto ai rigori dalla Spagna) e in 85 partite ha ottenuto 46 vittorie, 19 pareggi e 20 sconfitte.

“La scomparsa di Azeglio Vicini per me è un grande dispiacere. Lui è stato un grande professionista, che ha dato la vita per migliorare gli altri”, ha detto Arrigo Sacchi, ex ct della Nazionale azzurra, a Un giorno da pecora, in onda su Rai 1.

“Azeglio Vicini era un innamorato del calcio. Per me un vero maestro e una figura paterna”: a ricordarlo così è Paolo Rossi che ebbe l’ex ct come allenatore nella nazionale juniores e nell’Under 21. Con lui quello che sarebbe diventato il capocannoniere campione del mondo a Spagna ’82 non giocava centravanti ma ala destra.

“Vicini – ha ricordato Rossi con l’ANSA – mi allenò in azzurro dai miei 16 anni fino a 20. Era un punto di riferimento, sempre prodigo di consigli. Per me fu importante perché in quel momento stavo uscendo fuori. Giocavo ala e correvo – ha ricordato sorridendo – ma facevo comunque gol”. Per Pablito (passato poi al centro dell’attacco nel Vicenza di Fabbri) Vicini “amava confrontarsi”.

“Allora – ha aggiunto – non c’era la tecnologia di oggi che permette di sapere le caratteristiche di un giocatore ad esempio in Bolivia semplicemente spingendo un tasto. Lui aveva i suoi osservatori e li mandava in giro sui campi. Era sempre informatissimo su come giocavi”. Paolo Rossi ha ricordato Vicini come tecnico di “un calcio ovviamente tradizionale”. “Fatto – ha aggiunto – da libero, stopper e terzini. Lui ti spronava molto ma al tempo stesso era estremamente tranquillo. Una persona serena – ha concluso Paolo Rossi – che mi ha dato tanti consigli”.

“Sono molto amareggiato e addolorato dalla morte di Vicini, persona affettuosa e mite. Un vero gentiluomo. E’ una notizia che non avrei mai voluto ricevere”. Così Giuseppe Giannini, regista della Nazionale guidata dal ct Azeglio Vicini ai Mondiali del 1990, parlando all’Ansa.

“Anche per gli altri miei colleghi è stata una persona fondamentale, molto umana, sempre pronta ad aiutarti, disponibile e in grado di trasmetterti grande passione – aggiunge -. Quella Nazionale aveva spirito. Riuscì a trasformare un gruppo di talenti in gruppo. Non mi ha mai chiamato per nome, né per cognome: mi chiamava semplicemente ‘Principe’ e questo per me era un attestato di stima”.

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