Papa: “Migranti fuggono dagli Erode di turno”

Benedizione Urbi et orbi di Papa Francesco (ANSA/ L'OSSERVATORE ROMANO)
Benedizione Urbi et orbi di Papa Francesco (ANSA/ L’OSSERVATORE ROMANO)

CITTA’ DEL VATICANO. – I “venti di guerra”, cui non è estraneo un “modello di sviluppo” distorto e disumano, riassunti nei volti dei bimbi che soffrono i diversi conflitti. La condizione dei migranti che fuggono dagli “Erode di turno”. Il ruolo dei marginali, poveri o pastori che siano, nel ridare fiato all’umanità. E, sullo sfondo, una forte critica del potere, anche quello “religioso mondano”.

Si è mossa su questi binari la riflessione del Papa nei giorni di Natale, ed è stata talmente innestata sui racconti biblici da non dare pretesti a quanti ritengono la sua dottrina “liquida” o quanti lo accusano di essere poco cattolico. Una riflessione che ha avuto un punto di forza nel messaggio “Urbi et Orbi”, davanti a cinquantamila persone in piazza San Pietro, e ai tanti collegati in tutto il mondo attraverso i vari media.

E’ nell'”Urbi et Orbi” che papa Francesco ha collocato i “venti di guerra” in luoghi ben precisi, due dei quali, la Terrasanta con la questione di Gerusalemme e la tensione nella penisola coreana, richiamano la preoccupazione della Santa Sede per l’approccio del presidente statunitense Donald Trump a due aree così calde e così cruciali per la pace mondiale.

Tanto che papa Bergoglio ha tenuto a rilanciare la posizione della Santa Sede su Gerusalemme: “soluzione negoziata” per la “pacifica coesistenza di due Stati” “all’interno di confini concordati tra loro e internazionalmente riconosciuti”: una soluzione messa in crisi dalla decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, trasferendo la ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.

“Il Signore sostenga anche lo sforzo di quanti nella Comunità internazionale sono animati dalla buona volontà di aiutare quella martoriata terra a trovare, nonostante i gravi ostacoli, la concordia, la giustizia e la sicurezza che da lungo tempo attende”, ha auspicato papa Francesco per dare fiato e senso alle diplomazie nell’era Trump.

Accanto a Gerusalemme, papa Francesco ha messo Siria, Iraq e Yemen per il Medio oriente; Sud Sudan, Somalia, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica centrafricana e Nigeria per l’Africa; ha citato il Venezuela, il conflitto dimenticato in Ucraina. Dai luoghi geografici a quelli simbolici: i volti dei bimbi figli di migranti o di disoccupati, dei bimbi schiavi e di quelli vittima della tratta.

A proposito di profughi, il Pontefice ha rivendicato i diritti per le minoranze di Myanmar e Bangladesh; il primo nome che viene alla mente è quello dei rohingya, islamici dello stato birmano del Rakhine, e domenica scorsa l’assemblea generale dell’Onu ha chiesto ai militari birmani di cessare le ostilità contro questa minoranza di religione islamica.

La denuncia della situazione dei migranti era risuonata anche nella veglia della notte di Natale, quando papa Francesco ha insistito sulla situazione di quanti sono costretti a “lasciare la loro terra e mettersi in cammino”, per “sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente”.

Il Papa ha inoltre evocato Gesù come “colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza” (avrà avuto qualche risonanza nel dibattito in Italia sullo Ius soli? ndr), e ha insistito sul ruolo dei pastori, “uomini e donne” considerati impuri, marginali nella società del tempo, ai quali per primo si manifesta Gesù, “che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole”.

“Il messaggio di Gesù è scomodo e ci scomoda, perché sfida il potere religioso mondano e provoca le coscienze”, ha detto oggi, nella festa del primo martire cristiano, Stefano.

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