YANGON (MYANMAR). – Non rispondere a violenza con la violenza, la rabbia non è una cura, ha detto il Papa ai cattolici nella messa nel Kyaikkasan Ground di Yangon. Parliamo a una sola voce per la pace, siamo uniti contro l’intolleranza e l’odio, ha detto al Sangha, il consiglio supremo dei buddisti, nel Kaba Aye Centre. Così papa Francesco non si è stancato di ripetere l’invito a superare le divisioni senza vendette e a costruire la pace accettando le differenze.
Lo ha fatto nel secondo giorno del suo viaggio in Myanmar, e, a giudizio del suo portavoce Greg Burke, “questo viaggio si può descrivere in una parola, non è quella che pensate – ha detto, forse alludendo ai ‘rohingya’? – la parola è ‘unità’, unità nella diversità, come papa Francesco ha detto così bene con leader religiosi, unità nel senso di una piccola chiesa che lavora con gli altri per il bene del paese, come abbiamo sentito a messa e nella riunione molto bella con i vescovi: un giorno molto importante per chiesa in Myanmar direi anche storico, e finalmente – ha concluso Burke – unità nel lavorare insieme, come ha detto nell’importante incontro con i buddisti, come dobbiamo lavorare insieme per la pace e diritti umani”.
Papa Bergoglio ha cominciato la giornata di buon’ora, con la messa anticipata alle 8 (notte fonda in Italia) per evitare il caldo torrido, un rito gioioso celebrato in latino, inglese e birmano, con preghiere nelle lingua di alcune etnie cristiane, shan, chin, tamil, karen, kachin, kayan. E con la gioia della Chiesa birmana, 700mila fedeli in tutto, rilanciata nel saluto del cardinale Charles Bo: la visita del Papa era un sogno, quasi non ci potevamo credere, oggi il sogno si avvera, ha detto.
Nel pomeriggio papa Bergoglio ha avuto alcuni appuntamenti importanti, sia l’incontro con il “Sangha”, il consiglio supremo dei buddisti, che quello con i 22 vescovi che formano la conferenza episcopale del Paese. Ha anche incontrato in forma privata 30 suoi confratelli gesuiti. Ha incontrato il Sangha in un luogo molto importante per la spiritualità di questa terra: il Kaba Aye Centre, dominato dalla “Pagoda della pace”, uno dei templi buddisti più venerati dell’Asia sudorientale.
L’incontro – che è stato anche incontro di sensibilità e cerimoniali differenti, come quando il presidente Bhaddanta Kumarabhivamsa ha preso posto sulla sedia accovacciando le gambe sotto il sedere – è stato tutt’altro che rituale, e ha mostrato una volontà reale dei leader religiosi di fare qualcosa insieme per la pace, contro le violenze del passato, e contro chi usa il nome di Dio per uccidere: il presidente ha esplicitamente parlato di “terrorismo” e “fondamentalismo”, il suo discorso è stato tutt’altro che formale.
I vescovi papa Francesco li ha incontrati nell’arcivescovado di Yangon, dove è giunto sulla macchinetta scoperta. Accolto dal presidente della Conferenza episcopale mons. Felix Lian Khen Thang, ha salutato un anziano prete in sedia a rotelle e si è fatto fotografare con alcuni bambini. Ha anche benedetto la prima pietra di 16 chiese, del seminario maggiore e della nunziatura.
Prima celebrerà la messa per i giovani nella cattedrale di St.Mary e poi partirà per il Bangladesh, le cui sfide più importanti sono l’estremismo religioso, la lotta alla povertà, la corruzione e la fragilità del sistema democratico. Sfide condivise dalla Chiesa cattolica, ancora più piccola di quella del Myanmar, visto che in Bangladesh conta 380mila fedeli. Anch’essa è stata premiata dal Papa con il primo cardinale della sua storia, l’arcivescovo di Dacca, Patrick D’Rozario.
(dell’inviata Giovanna Chirri/ANSA)