Esercito Iraq riprende Kirkuk: “Peshmerga decapitati”

I danni causati dai bombardamenti aerei della Coalizione per colpire le postazioni dell'artiglieria di Abu Bakr al Baghdadi, nei pressi di Bazwaia, 28 ottobre 2016. ANSA/ CLAUDIO ACCOGLI
I danni causati dai bombardamenti aerei della Coalizione per colpire le postazioni dell’artiglieria di Abu Bakr al Baghdadi, nei pressi di Bazwaia, ANSA/ CLAUDIO ACCOGLI

 

 

BEIRUT/BAGHDAD. – La bandiera curda ammainata e quella irachena issata in cima al palazzo provinciale di Kirkuk è la fotografia di una giornata convulsa, in cui le forze governative di Baghdad e le milizie ausiliarie filo-iraniane hanno preso il pieno controllo della contesa città petrolifera del nord, senza mai scontrarsi direttamente con i peshmerga curdi. Ma secondo la tv curda Rudaw, i miliziani sciiti si son lasciati andare a violenze, decapitando una decina di miliziani curdi Peshmerga.

L’operazione militare vera e propria si era invece svolta in modo non cruento: dopo aver sparato alcuni timidi colpi di artiglieria, le milizie curde, che avevano strappato Kirkuk all’Isis combattendo, si sono ritirate non solo dal centro cittadino, ma soprattutto dalla principale base militare dell’area, dall’aeroporto e da importanti stabilimenti petroliferi a est di Kirkuk.

La partita per il controllo delle risorse della regione a metà strada tra Baghdad ed Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, è tutt’altro che conclusa. Il braccio di ferro va avanti da diversi anni, ben prima dello scontro con lo ‘Stato islamico’.

Ma si era riacceso in maniera virulenta a ridosso e dopo il referendum consultivo per l’indipendenza, svoltosi nel Kurdistan iracheno il 25 settembre scorso: si era trattato di un plebiscito in sostegno del presidente curdo-iracheno Masud Barzani, in cerca non solo di maggior forza sul piano internazionale, ma soprattutto sul piano interno.

Con l’azione-lampo, che ha comunque causato la fuga di migliaia di civili dal teatro degli attacchi, le forze lealiste hanno ottenuto un risultato politico e militare di rilievo, presentando l’operazione come “un ridispiegamento” e un “ripristino” del controllo governativo precedente al 2014, cioè a quando, durante le offensive dell’Isis, le truppe di Erbil, capoluogo del Kurdistan, avevano annesso di fatto tutta la città di Kirkuk e parte del suo entroterra, da secoli abitato non solo da curdi ma anche da turcomanni, da arabi sunniti e sciiti e da cristiani di varie chiese.

Gli Stati Uniti, che guidano la Coalizione anti-Isis a cui partecipano sia Baghdad che Erbil, si sono astenuti dall’intervenire e hanno espresso neutralità di fronte alla rivalità tra Baghdad ed Erbil. Dal canto suo l’Iran è stato, secondo alcuni analisti locali e regionali, il vero manovratore dell’operazione odierna, raggiungendo sotto banco un accordo con le forze curde più in contrasto col governo di Erbil, ovvero i rappresentanti dell’Unione patriottica del Kurdistan (Upk), fondato e diretto a lungo dal defunto presidente Jalal Talabani.

Ma l’entourage di Talabani ha smentito ogni accusa, rivoltagli dai seguaci del rivale Barzani, di aver ordinato ai Peshmerga di ritirarsi dalle posizioni a sud di Kirkuk. E la Turchia ha espresso sostegno al governo iracheno, senza però scagliarsi contro le forze curde vicine a Erbil, cioè la fazione di Barzani che, almeno fino al referendum, era la tradizionale alleata di Ankara.

Un altro tema scottante è quello della partecipazione delle milizie sciite filo-iraniane all’operazione di Kirkuk. Nel già infuocato clima iracheno, i curdi di Barzani accusano esplicitamente gli sciiti filo-Teheran di voler allargare il raggio di influenza politica ed economica della vicina Repubblica islamica. Mentre questi ultimi, dopo aver condotto le operazioni fuori città, hanno lasciato che le truppe “nazionali” di Baghdad penetrassero a Kirkuk.

Intanto  le forze lealiste sono in pieno controllo dei giacimenti petroliferi di Baba Gurgur, dello stabilimento della North Oil Company (Noc), dell’aeroporto internazionale di Kirkuk e della base militare K-1, a est della città.

(di Lorenzo Trombetta/ANSA)

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