Catalogna: cosa ostacola il cammino verso l’indipendenza?

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Catalogna: cosa ostacola il cammino verso l’indipendenza?

 

Mai credo, fatta eccezione quando si parla di calcio e delle vittore del Barça, si è parlato tanto di Catalogna come ultimi due mesi.  Dopo l’attentato del 17 Agosto scorso sulle Ramblas, a seguito del quale investiti da un furgone, sono morte 13 persone, l’attenzione si è focalizzata sul referendum consultivo che si sarebbe dovuto tenere e in qualche modo si è tenuto il 1° ottobre.

Le televisioni, i giornali, internet, tutti i mezzi di comunicazione si sono riempiti d’immagini, reportage, video, mostranti la Guardia Civil, e la Policia nacional, intenta a impedire le operazioni di voto anche in maniera alquanto brusca. L’impressione generale che ha dato il governo spagnolo non è stata oggettivamente delle migliori, soprattutto per chi ha seguito superficialmente la vicenda oppure conosce appunto la questione catalana in modo approssimativo. Ovviamente la reazione del governo centrale è stata un qualcosa di molto vicino a un atto repressivo gratuito, non a caso uno dei termini più usati e abusati è stato l’aggettivo “franchista”.

Per capire meglio cosa sta succedendo dobbiamo tenere presente che la Spagna è definibile come uno stato plurinazionale, ossia riconosce che al suo interno non vi sia una unica nazione spagnola ma che insieme a questa coesistano altre nazionalità, le più famose all’estero sono sicuramente quella Basca e quella Catalana, ma anche per esempio, quella Galiziana o Andalusa.

L’ordinamento Costituzionale Spagnolo del 1978 istituendo le “Comunidades Autonomas”, e quindi entità amministrative dotate di autonomia, ha cercato di armonizzare le necessita specifiche di popoli con storie culture e diverse con quelle dello stato centrale di avere un indirizzo politico comune. Da un punto di vista pratico quindi tutte le materie che non sono espressamente competenza del governo nazionale diventano in linea generale competenza della comunità autonome che attraverso i propri parlamenti e governi le possono organizzare liberamente ovviamente sempre nei limiti dei diritti e doveri previsti della costituzione stessa.

In questo quadro dobbiamo inserire la vicenda della Catalogna. Nella comunità autonoma catalana sono sempre esistite istanze indipendentiste, istanze che negli ultimi anni hanno avuto un’accelerazione, soprattutto con gli ultimi due presidenti della Generalitat (nome con cui si indicano l’Insieme delle istituzioni Catalane) Artur Mas e Carles Puigdemont, quest’ultimo attualmente in carica.

Dal mio punto di vista la richiesta catalana dell’indipendenza ha sicuramente un suo fondamento. La comunità ha una sua storia, ha le sue istituzioni, una sua lingua, una sua forza armata (i Mossos d’Esquadra la polizia regionale) e non c’è per forza bisogno di tirare in ballo giustificazioni storiche risalenti al medioevo o di residui fiscali in attivo per invocarla; se il popolo catalano si sente nazione e si sente maturo per assumere la responsabilità di tale scelta è giusto che abbia questa aspirazione. Inoltre non ritengo sufficiente come tesi contraria utilizzare solo esclusivamente l’argomento che la costituzione spagnola non prevede la secessione, oppure dire come è stato fatto sul Pais nei giorni scorsi che in fondo i catalani non sono mai stati indipendenti e quindi la loro richiesta non ha il supporto della storia. Le costituzioni si possono cambiare e la storia evolve. Ma tutto ciò avrebbe senso se la maggioranza o la totalità del popolo catalano fosse a favore dell’indipendenza.

Invece no! Il più grande ostacolo al processo d’indipendenza non è il governo spagnolo, ma è interno alla comunità catalana stessa, e questo il punto sul quale vengono fuori le contraddizioni e anche un po’ d’ipocrisia della società catalana: il punto è che la posizione indipendentista non è quella maggioritaria, quella più rumorosa forse ma non maggioritaria.

Vorrei ricordare che già nel 2014 era stato indetto un referendum consultivo, anche quello a suo tempo dichiarato illegale dal Tribunale Costituzionale e pertanto trasformato in un “referendum informale”, che aveva evidenziato come la posizione indipendentista non avesse fatto breccia nella maggioranza del cuore dei catalani, votò infatti il 36% circa degli aventi diritto al voto, che espressero per l’80% si parere positivo a un’ eventuale indipendenza, ma non rappresentavano un numero un numero così forte da giustificare una ulteriore spinta del processo indipendentista.

Inoltre se guardiamo il numero dei votanti a favore della piena indipendenza del referendum del 2014, il numero votanti di quello del 1° di ottobre ultimo scorso e i voti raccolti dai partiti indipendentisti alle ultime elezioni per il rinnovo del parlamento catalano (2015) , potremmo vedere che più o meno ci muoviamo sempre intorno alla stessa cifra. Cifra che non rappresenta sicuramente una quota che supera il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Infatti l’orientamento predominante almeno fino a ora è quello autonomistico, anche spinto al massimo, ma sempre rimanendo dentro lo stato spagnolo.

Per esempio chi ha seguito le cronache ha visto come domenica si sia svolta a Barcellona una manifestazione di quasi un milione di persone a favore dell’unità; e non a caso il Re Felipe nel suo    discorso in televisione della scorsa settimana aveva parlato di una società Catalana “fracturada” o “dividida”.

E se ci riflettiamo è corretto che una minoranza imponga una indipendenza, che per molti aspetti rappresenta un salto nel buio, alla maggioranza dei catalani? non viene così meno lo stesso principio di democrazia che gli indipendentisti hanno invocato per poter tenere il proprio referendum?

Bisogna dire che il governo centrale non ha gestito bene la situazione, anzi ha dato tutta l’impressione che Il primo Ministro Rajoy sia caduto abbastanza ingenuamente nel gioco di Puigdemont il quale sicuramente ha avuto tutto l’interesse a far passare gli indipendentisti come vittime di una repressione.

Quello che risulta incomprensibile è che anche nel 2014 il referendum era illegale ma in quell’occasione non è stata mandata la Guardia Civil a impedirlo, pertanto non è molto chiaro perché adesso invece si sia optato per un’azione repressiva. Azione che sicuramente è stata enfatizzata più del dovuto dai mezzi di comunicazione ma comunque è stato un evento traumatico e anche solo da un punto di vista simbolico negativo, mettendo tra l’altro le forze dell’ordine nazionali spagnole in forte imbarazzo e difficoltà.

Chiaramente io sono un illustre sconosciuto e non ho alcun titolo per dire a un Primo Ministro cosa avrebbe potuto fare. Tuttavia ritengo che il governo di Madrid più che addurre come giustificazione della propria azione repressiva l’argomentazione legalistico-costituzionale e dello stato di diritto, come ho detto la storia è piena di costituzioni che sono state modificate, avrebbe avuto molta più autorevolezza se si fosse posto come garante proprio di tutta quella parte della società catalana che legittimamente non vuole l’indipendenza e ha dimostrato il proprio dissenso con il non voto e la non partecipazione in ben due occasioni. Avrebbe quindi dovuto, a mio avviso, lasciar svolgere il referendum e a risultati acquisiti pronunciarsi. Anche perché ritengo che il governo centrale abbia agito come ha agito propriamente perché sa che la posizione indipendentista non è maggioritaria. Avrebbe potuto fare lo stesso se in un referendum anche illegale l’80 o il 90% della popolazione avesse votato esprimendosi favorevolmente per l’indipendenza?

Penso inoltre che i partiti indipendentisti abbiano giocato una partita di poker in cui, bleffando, hanno alzato troppo la posta e che ora non sappiano bene come fermarsi senza ovviamente perdere credibilità, il discorso di Puigdemont che ha proclamato l’indipendenza e l’ha immediatamente sospesa per avviare trattative con il Governo sembra un tentativo anche maldestro di dare una botta al cerchio e una alla botte.

Sicuramente non è una situazione di facile soluzione anche perché vi sono implicazioni internazionali che vanno al di là della diatriba tra stato centrale Spagnolo e Catalogna; nel caso infatti che quest’ultima diventasse indipendente potrebbero innescarsi dei processi che potrebbero modificare il panorama politico dell’Europa.

Pur tuttavia azzardo una ipotesi: in questi giorni parlando con molti catalani (grazie al mio lavoro infatti ho contatti quotidiani con la Spagna e con Barcellona) penso che una probabile soluzione di questa crisi passi attraverso una riforma della costituzione spagnola.

Una riforma che conceda una maggiore autonomia alla Comunitat Autonoma de Catalunya soprattutto sul tema della gestione delle risorse fiscali e che potrebbe indebolire anche di molto il fronte indipendentista. Però questo dipende dal governo spagnolo il quale se non farà qualche concessione realmente potrebbe trovarsi con un nuovo paese confinante.

Stefano Macone

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