Monarch si arrende, in bancarotta altra compagnia aerea

Monarch si arrende, in bancarotta altra compagnia aerea
Monarch si arrende, in bancarotta altra compagnia aerea

LONDRA. – Monarch abdica. Giù il sipario per la più malconcia compagnia aerea britannica, ormai in bancarotta e messa dalla notte scorsa in amministrazione controllata con lo stop totale dei voli e di qualunque attività commerciale. Il blitz si é consumato prima dell’alba, quando tutti i velivoli superstiti della flotta con il simbolo della ‘M’ stilizzato a corona in coda (34 Airbus) erano a terra.

E ha cancellato come in un colpo di spugna 300.000 prenotazioni, oltre a lasciare senza viaggio di ritorno 110.000 passeggeri: sorpresi dall’accaduto in vari Paesi d’Europa (incluse le destinazioni italiane di Roma Fiumicino, Napoli, Verona, Venezia e Torino) o del Medio Oriente.

Una situazione che ha indotto il governo britannico a intervenire ordinando alla Caa, l’ente dell’aviazione civile del Regno, di reperire una trentina a stretto giro di charter per realizzare quella che il ministro dei Trasporti, Chris Grayling, ha ammesso essere “la maggiore operazione di rimpatrio in tempo di pace” verso il Paese.

Si tratta del terzo epilogo simile recente per un vettore europeo, dopo i precedenti piuttosto freschi di Alitalia (che malgrado tutto ha continuato però a volare) e Air Berlin. Ma anche d’una vicenda che finisce per incrociarsi con gli effetti delle circa 20.000 cancellazioni di Ryanair, al di là della radicale differenza di contesto con il gigante irlandese di Michael O’Leary: in crisi manageriale e di rapporti di lavoro con i piloti, non certo di profitti.

Crisi di profitti che invece attanagliava Monarch – holding con hub nello scalo londinese di Luton e basi di partenza da sei aeroporti del Regno Unito, di cui fanno parte pure un tour operator e una divisione d’ingegneristica – almeno dal 2009.

Nata quasi mezzo secolo fa come società tradizionale di charter, specializzata in pacchetti turistici completi di prenotazione alberghiera, aveva cercato in anni più recenti – dopo i contraccolpi della crisi globale e l’ascesa di rampanti concorrenti quali la stessa Ryanair o EasyJet – di riconvertirsi a sua volta in moderno vettore low cost. Mantenendo sino alla fine un range di destinazioni prevalentemente turistiche (non poche stagionali) verso la Spagna in primo luogo e poi Italia, Portogallo, Francia, Grecia, Cipro, Croazia, Israele, Turchia, Svezia, Austria, Germania, Svizzera e Gibilterra. Ma non é bastato.

Come non é bastato a garantire la salvezza l’acquisizione ‘a saldo’ nel 2014 del pacchetto azionario di controllo da parte del fondo Greybull capital, entrato in gioco in extremis per garantire tre anni fa una proroga della licenza commerciale della Caa a un passo dalla revoca. Il piano di ristrutturazione industriale, con tagli a flotta e personale, si é infranto contro il pesante calo di prenotazioni per ragioni di sicurezza nelle rotte verso la Turchia e l’azzeramento verso l’Egitto.

L’ultima iniezione di liquidità – 165 milioni di sterline – é arrivata nel 2015 ancora da Greybull. Ma l’azienda, già sull’orlo della bancarotta da due anni, ha fatto segnare nel 2016 una nuova perdita da 291 milioni nonostante le circa 5 milioni di persone trasportate. E a quel punto l’azionista non ha concesso ulteriori ricapitalizzazioni. Di qui il finale di partita, sancito nottetempo.

Il futuro della compagnia é ora avvolto nella nebbia. Quello dei suoi 2.100 dipendenti, nel buio più fitto.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)