Ingovernabilità, Plebiscito e Costituente, l’enigma Venezuela

La patata bollente è ora in mano al governo. Tocca al presidente della Repubblica, Nicolas Maduro, fare la prossima mossa. Dovrà muovere le pedine nella scacchiera della politica nazionale e internazionale e dovrà farlo con abilità per eliminare l’imminente minaccia di scacco matto nel quale è precipitato dopo la “consulta popolare”. Oltre 7 milioni di venezuelani, 7 milioni 186mila 170 per essere precisi, dopo lo scrutinio del 95 per cento dei voti, ha detto “No” all’Assemblea Nazionale Costituente; un numero di elettori che, se si fossero recati alle urne per il “referendum revocatorio” previsto dalla Costituzione, avrebbe permesso di licenziare, mandandolo in pensione, il presidente della Repubblica. E’ questo un risultato che il governo può far finta di ignorare ma che non può assolutamente sottovalutare.

Il presidente Maduro pare disposto a giocarsi definitivamente la carta dell’Assemblea Nazionale Costituente, ultimo passo per soddisfare una sempre più palese vocazione autoritaria propria e del suo entourage. D’altronde l’elezione dell’Assemblea Nazionale Costituente, che, stando a quanto stabilito dall’Alta Corte e dal Consiglio Nazionale Elettorale non avrebbe bisogno di un referendum per essere approvata, permetterebbe di azzerare tutti i Poteri Pubblici, quindi anche quelli scomodi: il Parlamento e la Procura.

E non avrebbe nessuna importanza il volume dei votanti. Una scarsa affluenza alle urne potrebbe mettere in discussione la legittimità morale della “Costituente” ma non quella legale. E poi, il Consiglio Nazionale Elettorale potrebbe sempre fare acrobazie per migliorare l’estetica dei risultati. Una volta costituita l’Assemblea Nazionale Costituente, poi, la dissidenza potrebbe essere neutralizzata attraverso l’arresto o l’esilio dei suoi leader, come minacciano in maniera ricorrente i maggiori esponenti del governo: il presidente Maduro, il vice-presidente, Tareck El Aissami; il deputato Diosdado Cabello, solo per fare alcuni nomi.

Il plebiscito ha mostrato aspetti inediti del mondo politico nostrano. Innanzitutto, il profondo spirito democratico della maggioranza dei venezuelani che contrasta con la violenza e l’intolleranza dei disadattati che costituiscono i “colectivos” – branchi di motociclisti armati che agiscono impunemente e seminano il terrore durante le manifestazioni di protesta dell’Opposizione molte volte senza che le forze dell’Ordine intervengano per evitare l’inutile perdita di vite umane – e delle frange più radicali e irrazionali che convivono sia nel “chavismo” sia nell’Opposizione.

In secondo luogo, la capacità organizzativa del Parlamento e del Tavolo dell’Unità Democratica. Nei gazebo dell’Opposizione tutto si è svolto secondo copione, con pochi inconvenienti e tanta solidarietà. E poi, la partecipazione assai numerosa di venezuelani nei “puntos soberanos” allestiti nei quartieri umili delle città, a dimostrazione di come, anche nei “barrios”, si senta la necessità di un giro di boa e sia diminuita la paura di manifestare pacificamente il proprio malessere.

Dalle stelle alle stalle. Con un equilibrio politico precario come quello odierno, basta una mossa sbagliata per gettare alle ortiche mesi di lavoro ben fatto. Per Opposizione e governo è ora tempo di riflessione. Né l’uno né gli altri hanno oggi molto spazio di manovra; l’uno non potrà mai governare il Paese, e riscattarlo dalla crisi nella quale langue, senza il contributo dell’altro. D’altronde è così come funzionano le vere democrazie. L’Opposizione, pare evidente, dovrà intraprendere un cammino che conduca a un governo di transizione e alla convivenza con quella parte del “chavismo” meno radicale, più razionale e preoccupato per il futuro del paese.

Al governo, d’altro canto, non resta che abbandonare le posizioni estreme, il discorso aggressivo, gli insulti e la repressione e iniziare a percorrere la via del dialogo. L’alternativa è la realizzazione dell’Assemblea Nazionale Costituente, con la conseguente abolizione di tutti i poteri e quindi l’istituzione di un regime apertamente dittatoriale che riscuoterebbe la condanna mondiale e l’approvazione solo di quei paesi, come l’Iran, l’Iraq, la Siria, la Cina o la Russia in cui la parola “democrazia” è proibita.

Per negoziare un’uscita dignitosa alla situazione di stallo creatasi oggi nel Paese, però, Opposizione e Governo dovranno cedere qualcosa. La domanda, a questo punto non può essere che una: saranno disposti a farlo? Chi darà il primo passo?

Mauro Bafile

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