Il “tradimento” dei giovani

Matteo Renzi, ospite del programma di Maria De Filippi (S) -----------------------------------------------------------------------------------------
Matteo Renzi, ospite del programma di Maria De Filippi (S)
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Domenica 4 Dicembre si è tenuto in Italia il referendum confermativo della riforma costituzionale già votata in parlamento nei mesi precedenti.

Come ormai tutti sappiamo la proposta costituzionale è stata rigettata dalla maggioranza degli elettori italiani, circa il 60%, aprendo di fatto una crisi di governo dato che primo ministro in carica Matteo Renzi ha annunciato la notte stessa, dopo gli exit poll, le sue dimissioni.

La vittoria del NO non qualcosa d’inatteso, anzi era data per probabile! Ma nessuno aveva azzardato un distacco di quasi 20 punti percentuale. L’idea più diffusa era quella di una contesa testa a testa in cui la vittoria poteva essere determinata, per il SI o per il NO, da pochi punti di vantaggio.

Come sempre accade dopo ogni tornata elettorale, una volta acquisiti i dati si comincia ad analizzarli per capire il più possibile come la popolazione ha votato: per età, per localizzazione geografica, reddito, grado d’istruzione etc.
I due dati che hanno particolarmente colpito sono stati: l’alta affluenza alle urne circa il 68% degli aventi diritto al voto, la più alta partecipazione registrata dal 1993, dimostrazione che la consultazione è stata molto sentita dal paese; e il voto dei giovani tra i 18 e i 34 anni che in una percentuale tra 69% e l’81% hanno votato contro la riforma.

Se il primo dato può essere letto solo ed esclusivamente come un dato positivo, il segno evidente che l’elettorato è ancora disponibile a mobilitarsi per i temi che gli interessano e che i cittadini italiani tutti non hanno ancora rinunciato a esercitare il diritto di voto, come invece molti opinionisti pensano da alcuni anni, il secondo dato si presta a una doppia lettura: negativa per i sostenitori del SI positiva per i sostenitori del NO.

Per cercare di capire meglio il perché i giovani si siano espressi in questo modo è necessario però fare un passo indietro. Matteo Renzi fin dagli inizi della sua carriera politica nella natia Toscana ha voluto rappresentare, e in buona sostanza da un punto di vista anagrafico lo è stato, qualcosa di nuovo rispetto alla classe politica in generale e soprattutto rispetto al suo partito d’appartenenza anche appunto puntando molto sul fattore età rispetto alla media dei politici italiani, i quali di solito arrivano a certi incarichi in età più matura.

Renzi è stato un giovane Presidente di Provincia (29 anni), il giovane Sindaco di Firenze (33 anni) e il più giovane Presidente del Consiglio della storia d’Italia (39 anni). Lo stile di Renzi è stato sempre alla mano, educato ma anticonformista, con un linguaggio diretto, chissà a volte un poco sfacciato, ospite a trasmissioni per un pubblico giovane, come “Amici” di Maria De Filippi, dove si presentò in jeans maglietta nera e giubbotto di pelle, con un uso smodato, come appunto i giovani, di social network, soprattutto Twitter. Una volta al governo si è circondato di giovani, una su tutti Maria Elena Boschi, anch’essa toscana, bella e, almeno sulla carta, molto preparata.

E’ quindi evidente che il premier ha cercato d’offrire con la sua esperienza personale un modello teso a svecchiare il panorama politico, più dinamico e proiettato al futuro incarnando quella equazione giovane uguale innovazione ed efficienza contro il passatismo e la lentezza. Oggettivamente la sua parabola politica ascendente è stata impressionante e molto rapida, anche se sinceramente per chi abbia un poco di dimestichezza con i meccanismi della politica italiana è sembrata anche troppo rapida.

In ogni caso è chiaro che il Primo Ministro puntasse al consenso giovanile per i quali in fondo poteva rappresentare un modello positivo da seguire, non dimentichiamo poi uno degli ultimi provvedimenti del governo proprio nelle settimane precedenti il referendum: il “Bonus Cultura Renzi”, diretto proprio ai giovanissimi diciottenni (nati nel 1998) che a questo referendum hanno votato la prima volta, in buona sostanza ha concesso loro un credito di 500 euro da spendere, tramite una carta elettronica, in acquisti culturali (musei, mostre, concerti etc.).

Perché dunque i giovani non hanno seguito il premier? Perché la loro risposta alla proposta del governo Renzi è stata negativa?

Le risposte potrebbero essere di due tipi: una di carattere generale e una più specifica.

In senso generale Renzi ha commesso un errore strategico personalizzando eccessivamente il voto referendario, facendolo diventare un plebiscito a favore o contro la sua persona e il suo governo. Tale errore è in parte comprensibile dato che Renzi, non avendo ottenuto l’incarico di Primo Ministro perché vincitore di elezioni politiche ma nominato dall’ex Presidente della Repubblica Napolitano, era in cerca di una definitiva legittimazione popolare.

Chiaramente in questo modo l’elettorato è stato messo di fronte a una scelta complessiva e radicale di accettazione o rifiuto totale. Su queste basi votare SI voleva dire, non solo essere favorevole alla riforma costituzionale, ma in modo acritico approvare tutto l’operato di Renzi e del suo governo, in caso contrario rifiutare tutto in blocco.
L’elettore italiano ha dovuto fare così un bilancio complessivo che a questo punto per la maggioranza degli italiani è risultato essere negativo.

Per quanto riguarda specificatamente i giovani, probabilmente essi hanno mostrato un’autonomia di giudizio maggiore di quanto si potesse pensare. D’altro canto loro vivono sulla loro pelle le difficoltà del periodo storico che stiamo vivendo, e hanno constatato e constatano quotidianamente le differenze tra quanto viene annunciato o proclamato e la realtà.

Non si può ascoltare in televisione, o leggere sui giornali, che i dati dicono che il paese sta uscendo dalla crisi e che l’economia è tornata a crescere, quando poi nella realtà il 24 enne laureato o il 19 enne diplomato riscontrano che nell’area geografica dove vivono le aziende chiudono e non c’è lavoro oppure vedono il proprio genitore a 50 anni espulso dal mondo del lavoro e che non riesce a rientrarvi, e non parliamo di aree del paese che hanno avuto sempre difficoltà, ma anche di aree ricche come il Veneto o la Lombardia.

Quando si comincia a vedere che il proprio cugino, il fratello o il migliore amico alla fine decide di partire per la Germania, o va nei Paesi Bassi, non perché vuole fare un’esperienza o vivere “un’avventura” ma perché ha perso la fiducia e non vede un futuro, e si arrende all’idea che solo in un altro posto, che non sia l’Italia, si potrà realizzare. Quando i giovani vedono che intere aree della città o del paese dove si è cresciuti non sono più frequentabili perché ormai sono il territorio di bande di clandestini, che oltretutto percepiscono soldi dal governo in quanto “profughi”, ecco tutto ciò ha pesato moltissimo nell’urna.

Per capirlo sarebbe stato facile, sarebbe bastato andare in giro per i bar di quartiere e parlare con le persone e i giovani; si sarebbe potuto ascoltare direttamente da loro che la quotidianità che essi vivono non è quella rappresentata dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione. Si sarebbe potuto agevolmente constatare che lo scontento che c’è in Italia è un sentimento diffuso e trasversale e che anche persone, per esempio molti trentenni, che normalmente prima votavano per il partito di Matteo Renzi, quindi persone di sinistra, hanno votato NO e bocciato il governo.

Questo vissuto quotidiano spiegherebbe anche la differenza del voto tra i giovani italiani residenti all’estero e quelli in Italia. Nel voto estero è prevalso il SI e ovviamente l’essere lontani non è una colpa, ma solo un dato oggettivo, ma è altrettanto comprensibile che certe sfumature appunto della quotidianità non possono essere percepite stando a Berlino o a New York, per quanto i contatti con la madrepatria possano essere costanti.

I giovani in Italia invece come pare dai dati non hanno avuto dubbi nel valutare negativamente l’intero progetto proposto da Matteo Renzi e rigettarlo con decisione nel momento in cui gliene è stata data l’opportunità. Nella sconfitta è probabilmente questo l’aspetto più dolente per lui: si proponeva per il futuro, ma il futuro, i giovani, non gli ha creduto.
Stefano Macone

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