Venezuela: Consiglio Nazionale Elettorale proibito all’opposizione

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CARACAS – Est, Ovest. Caracas, come d’altronde tutto il Paese, sempre più spaccato in due. Da un lato, a est, l’opposizione che, dopo aver conquistato il Parlamento, è ora impegnata nella crociata per il Referendum Revocatorio; a ovest, il governo, nella roccaforte di Miraflores, che difende i propri spazi e il proprio potere. Nel mezzo, come in un sandwich, i venezuelani, un elettorato oramai stanco di fare la fila alle porte di supermarket e farmacie, asfissiato dalla propaganda politica, dai ricatti, dalle minacce.

Non è solo una separazione virtuale; non è solo la simbologia di un sistema politico che ha cancellato i chiaroscuri, le tonalità di grigi per trasformare tutto in bianco e nero: opposizione o Governo. E’ una realtà che si riflette nell’erosione delle libertà fondamentali: quelle di protesta, di manifestazione, di opinione.

In passato, durante la “Quarta Repubblica”, la capitale era una sola. Non vi erano spazi “off limits”. E alle forze politiche, simpatizzanti o no del governo, critiche o no con il potere di turno, non si negava la possibilità di manifestare, di protestare lungo le strade cittadine o di recarsi al “centro storico”, sede delle istituzioni del Potere simbolo della democrazia.

Non si “ghettizzava” l’opposizione. E’ vero, a volte le manifestazioni si trasformavano in violenza. E allora interveniva la “Policia Metropolitana” a sedare gli animi. La repressione spesso era brutale, come d’altronde lo è anche oggi. L’indomani si denunciavano gli abusi e gli studenti arrestati erano messi in libertà.

Tolleranza. Accettare la protesta pacifica come espressione di libertà, è sempre stata la base del sistema democratico venezuelano, non privo di gravi imperfezioni. Ed è sempre stata ammessa anche da quei governi con palese vocazione autoritaria, che pure ve ne sono stati.

E’ stata questa la differenza tra il Venezuela moderno e il Cile di Pinochet, l’Argentina di Videla, la Spagna di Franco. Insomma, tra il Paese, isola di pace e di democrazia, e le nazioni del continente umiliate dalle crudeli dittature.

La città, simbolicamente spaccata in due, riflette la realtà politica del Venezuela che vive una crisi istituzionale ed economica che non ha precedenti. Non si riconosce nelle forzature volute da Governo e opposizione ed è oggi in cerca di una propria identità, mentre il Psuv e il governo si dibattono nelle proprie contraddizioni e il Tavolo dell’Unità si confronta con l’eterogeneità dei movimenti che la compongono e lottano per la leadership.

Nel “chavismo” è in corso un dibattito interno accanito che ha fatto emergere importanti correnti di dissenso che non si riconoscono con il Governo del presidente Maduro. Queste reclamano un giro di vite che permetta evitare l’implosione del “movimento”; un giro di vite che riconosca il ruolo delle attività private in una società moderna.

Dal canto suo l’Opposizione, che si riconosce nell’eterogenea alleanza del Tavolo dell’Unità, ha archiviato per il momento ogni discrepanza e, pur priva di un chiaro programma di governo, ha ritrovato l’unità grazie ad un obiettivo comune: il Referendum Revocatorio.

E’ la consulta popolare, che il Tavolo dell’Unità è convinto di vincere, la “mela della discordia”, il terreno in cui le forze politiche si affrontano. Psuv e Governo, ormai convinti che non potranno evitare il confronto nelle urne, concentrano le loro forze nell’evitare che il Referendum possa realizzarsi prima della fine dell’anno.

Dal canto suo, il Tavolo dell’Unità, cosciente che i tempi di realizzazione della consulta popolare sono stretti, reclama maggior celerità al Consiglio Nazionale Elettorale affinché si rispettino tutti i tempi burocratici stabiliti dalla Costituzione evitando ritardi innecessari.

E’ un confronto aspro in cui è intervenuta anche la CorteSuprema stabilendo che il Cneè “off the limits”. Detto in altre parole, decidendo che nessuna manifestazione di protesta potrà realizzarsi nei pressi dell’organismo elettorale.

Nonostante l’espressa proibizione, il Tavolo dell’Unità ha indetto l’ennesima manifestazione di protesta per esigere al Consiglio Nazionale Elettorale velocità nelle decisioni. D’altro canto, l’ex magistrato Blanca Rosa Marmol de León ha ritenuto, in una intervista al quotidiano “El Impulso”, incostituzionale la decisione del Tsj di creare una zona “off limits” attorno al Cne.

Il confronto politico tra Governo e opposizione non è solo sul Referendum. La lotta tra poteri prosegue sempre più aspra. Il presidente Maduro ha nuovamente presentato un “Decreto di Emergenza” che dovrebbe permettergli di governare senza doversi sottoporre all’esame del Parlamento. Ma, in questa occasione, il decreto non si limita all’ambito economico ma interessa anche quello delle libertà. In altre parole, darebbe al presidente della Repubblica poteri molto più ampi, tali da poter limitare la libertà di protesta, di manifestazione, di stampa e di opinione.

Ed infatti, il capo dello Stato ha già nominato il generale Carlos Alberto Martìnez Stapulionis capo della “Zona de Defensa Integral Capital 41”,cioè di Caracas, con l’ordine di controllare l’ordine pubblico e di reprimere ogni protesta in un momento particolarmente delicato per il governo che, stando all’agenzia Demoscopea Venebaròmetro ha appena un 25 per cento di popolarità.

Il Decreto di Emergenza Economica e di Stato di Crisi, già bocciato dal Parlamento, sarà sicuramente, come accaduto puntualmente fino ad oggi, ripescato dalla Corte.

E’ questo confronto politico esasperato, le manifestazioni di piazza represse con eccezionale quanto innecessaria violenza, la reiterata volontà di proibire la protesta ghettizzandola, l’incapacità di ex premier ed ex capi di Stato di promuovere il dialogo tra le parti scoraggia la visita di missioni ufficiali di paesi di governi democratici tradizionalmente amici e legati da vincoli politici e commerciali.

Ed è stato, se ci atteniamo all’interpretazione degli esperti in materia, la ragione per la quale anche il Segretario per i Rapporti con gli Stati del Vaticano, mons. Paul Gallagher, ha preferito cancellare all’ultimo momento il suo viaggio nel Paese.

La polemica tra Almagro e il presidente Maduro, che ha chiamato in causa anche l’ex presidente “Pepe” Mujica, non aiuta. E’ probabile che la diplomazia dell’Osa, nei prossimi giorni, si metta al lavoro per definire i termini dell’applicazione della “Carta Democratica” per il Venezuela.

Questa rappresenterebbe una grossa sconfitta per il presidente Maduro che comunque, con il suo linguaggio aggressivo e poco adatto ad un ex capo della diplomazia, è riuscito a creare il vuoto attorno a sé, sia nell’ambito latinoamericano – dove restano suoi alleati solo Morales e Correa – e sia soprattutto in quello europeo – dove gli echi della diatriba aspra tra Venezuela e Spagna, e il linguaggio poco elegante impiegato dal presidente Maduro per sottolineare il premier spagnolo sono ancora assai vivi -.

Alleati del Venezuela restano Russia, Cina e alcuni paesi produttori di petrolio, che non si caratterizzano certo per essere paladini delle libertà ed esempio di democrazia.

Intanto, si attende una nuova manifestazione della Mud, in un ambiente teso al limite dell’esplosione sociale. Il susseguirsi di manifestazioni della Mud, dei sempre più frequenti saccheggi potrebbero essere la scintilla di cui ha bisogno il capo dello Stato per applicare lo “Stato di Emergenza” e limitare le libertà dei venezuelani.

Da sottolineare, nell’ambito economico, il comunicato della “Academia National de Ciencia Economica”.Essa ha manifestato pubblicamente, come già fatto altre volte, preoccupazione per la situazione economica del paese e ha suggerito al governo strategie per affrontare la crisi.

I suoi consigli prevedono l’applicazione di strategie che promuovano un unico tasso di cambio; la privatizzazione delle industrie inefficienti,e ancora di abbandonare la pratica di finanziare la spesa pubblica con la stampa di banconote per mezzo della Banca Centrale, di negoziare finanziamenti con entità internazionali per stabilizzare il sistema finanziario e di liberare l’iniziativa privata.

L’Ance ritiene che in questo modo sarebbe possibile restituire la fiducia nel paese, senza la quale il collasso economico, in uno scenario di prezzi del petrolio ancora troppo bassi, sarebbe inevitabile.

(Mauro Bafile/Voce)