Per il petrolio rusca impennata


ROMA – Il petrolio torna a volare e si riporta alla stelle, sfiorando i record storici dell’autunno scorso: dopo aver iniziato la settimana in tensione le quotazioni dell’oro nero ieri hanno segnato un nuovo sprint, portandosi a New York fino a 55,20 dollari al barile, livello vicinissimo ai massimi di tutti i tempi toccato il 25 ottobre scorso a 55,67. E, dall’altra parte dell’oceano, il brent – il greggio di riferimento europeo – ha messo a segno il suo record storico: 53 dollari per barile, una quotazione mai toccata dall’avvio delle contrattazioni dei future nell’88.


A spingere le quotazioni giocano i timori degli operatori per una domanda che, spinta dalla ripresa americana e dalla forte richiesta della Cina, quest’anno potrebbe non essere coperta dall’offerta mondiale. Uno scenario suffragato anche dagli ultimi dati sulle forniture Usa che la scorsa settimana hanno mostrato un incremento di 2,4 milioni di barili a quota 299,4, il livello più alto da luglio. E, anche, dalla domanda di benzina che – sempre in America – nell’ultimo scorcio di febbraio ha registrato un aumento di 973 mila barili a 224,5 milioni. Una serie di elementi strutturali sui quali – come ormai consueto – si è inserita anche una forte spinta speculativa, sottolineano gli analisti ricordando che la maggior parte degli scambi petroliferi è ormai dominata da operatori di mercato, fondi ed investitori istituzionali.


I riflettori tornano così a puntarsi – in questa fase di ritrovata emergenza-prezzi – sull’Opec. Ed in particolare sul prossimo vertice dei Signori del Petrolio, fissato per il 16 marzo a Isfahan in Iran dal quale, tra le altre cose, è attesa una decisione anche in merito alla nuova forchetta di riferimento dei prezzi annunciata dall’organizzazione. Congelato il range 22-28 dollari nell’ultimo incontro del mese scorso, il Cartello ha infatti annunciato che rivedrà i suoi prezzi di riferimento, lasciando intendere la possibilità di un incremento della forchetta di 4-5 dollari al barile. Ma non è tutto. Stando a proiezioni di esperti, i prezzi del petrolio potrebbero volare, nei prossimi due anni, fino ad 80 dollari al barile. Questi timori sono coroborati dal segretario generale ad interim dell’Opec, Adnane Chihabeddine secondo il quale, comunque, si tratta di una ipotesi ”debole”. E comunque, ha sottolineato, se il greggio dovesse raggiungere tale livello si tratterebbe solo di fiammate temporanee.


Sul fronte interno, intanto, la ripresa delle quotazioni petrolifere potrebbe presto scaricarsi sui prezzi. A cominciare dalla benzina ed il gasolio: i petrolieri hanno annunciato nei giorni scorsi che non avrebbero messo mano ai listini, dopo l’aumento dell’accisa deciso dal governo per finanziare il piano anti-smog. Ma hanno tenuto a precisare che avrebbero seguito l’andamento internazionale delle quotazioni. Come dire: a fronte della nuova rincorsa della materia prima, c’é da attendersi – se il trend rialzista non dovesse rientrare – una nuova ondata di rincari sui carburanti. E non solo. Complice anche il maltempo che ha investito l’Italia, in queste settimane gli impianti di riscaldamento stanno andando a tutto gas. Con un impatto che potrebbe non essere leggero sui conti di fine anno. Come oggi ricordato anche dai consumatori dell’Adoc secondo i quali l’aggravio per le famiglie italiane, nel caso in particolare di quelle del Meridione, potrebbe arrivare anche a sfiorare i 120 euro rispetto all’anno scorso. Un bilancio che potrebbe essere aggravato ulteriormente in caso di nuovi aumenti dei combustibili, gasolio in prima linea.