Rabarama é il nome esotico (e simpatico) dietro cui si cela la giovane scultrice Paola Epifani, in mostra con trenta sue opere (di cui 5 giganti e d’impatto) al Centro La Estancía, qui a Caracas.
Figlia d’arte-padre, pittore e scultore, madre ceramista- ha respirato gli odori acri dei colori fin da bambina, ma nonostante la fortuna di una paternitá d’eccezione, non si é adagiata sugli allori, e con grinta (pari solo all’ intensitá delle sue creazioni) ha seguito una formazione accademica classica.
Da Roma, dove é nata, si é trasferita a Treviso per poi diplomarsi con pieni voti all’Accademia di Belle Arti di Venezia. La sua ascesa é iniziata, se si vuole, anche un po’ casualmente: partecipando ad un concorso internazionale di scultura in legno indetto dal Governo messicano, in cui fu selezionata come rappresentante italiana.
Da qui in l’impennata: nel 1991 viene selezionata ad un concorso in Francia e poi ancora in Messico, nel ’92 tiene una esposizione personale al Museo d’Arte Moderna di Toluca; nel ’93 viene selezionata per il Concorso di scultura sul ghiaccio in Alaska; nel ’95 la Galleria Dante di Padova, allestisce la sua prima mostra personale italiana alla quale ne sono seguite altre a Vittorio Veneto, Cremona, Udine ed infine una retrospoettiva a Milano, alla Fondazione Mudima. Ma oltreconfini la sua fortuna é stata folgorante, come ci rivela Vincenzo Sanfo( organizzatore della prossima Biennale dell’Arte di Shangai, un vero e proprio mecenate dell’arte italiana, secondo la definizione di Massimo Gilardi, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Caracas) ” in Cina la sua opera ha fatto colpo, siamo rimasti lí in esposizione piú tempo di quanto previsto; una sua scultura é stata comprata dal governo cinese, verrá cosí esposta davanti al Municipio di Shangai“.
Un successo strepitoso che il gallerista Dante Vecchiato spiega con una sola parola : piace. Bruciate tutte le tappe , saltato il percorso classico dei critici d’arte, la sua fortuna é stata essere amata dal pubblico, che dinanzi all’arte del novecento troppo spesso rinunciava a pronunciare l’esclamazione “che bello!”. Con lei lo stupore é d’obbligo, e cosí quando si entra nel cortile dell’Estancia, le sue sculture giganti ( figure umane ricoperte da un arabesco multicolore di cui le fa il calco in terracotta, per poi passarle in Bronzo) ti entrano dentro con forza.
Quelle sculture sembrano state create proprio per stare lí, in quel cortile, adagiate in quello spazio verde, immobile e meditativo:t’ aspetti di vedere da un momento all’altro comparire Aristotele e i suoi discepoli.
E difatti i suoi soggetti, uomini soli che ricordano il pensatore di Rodin, sono immersi nella malinconia della propria solitudine, anzi della propria inesistenza. Perché di inesistenza si tratta, quando si nega la libertá dell’uomo, come fa Rabarama : “la domanda da cui sono partita nella mia opera é chi siamo?in quella fase la vedevo nera; ho analizzato la condizione umana, ed ho pensato che l’uomo vivesse in assenza del libero arbitrio: l’uomo é un computer biologico,tutto é scritto sulla sua pelle, il suo patrimonio genetico, le sue esperienze e l’ambiente circostante generano le sue azioni, nessuna libertá di scelta”. Una domanda, chi siamo, che il novecento ha deriso, ha gettato nel cestino (non a torto, a mio parere) ma che Rabarama, appassionata di filosofia, recupera e rilancia: ” chi siamo? Siamo solo corpo e materia? Cosa c’é dopo la vita? comunque non lo sapremo mai fino alla fine del ciclo, in ogni caso la parte pessimista della mia opera é passata, adesso con questi neonati fatti in silicone voglio rappresentala la nascita di un uomo nuovo, c’é la presenza di una forza creatrice, di una forza vitale nel mondo, l’uomo esiste“.
Ma Rabarama non perde occasione anche per scagliare una frecciatina contro i suoi colleghi artisti, che hanno dimenticato di innovare, limitandosi a scimmiottare ” l’orinatoio di Duchamp”, l’opera piú rappresentativa del secolo, secondo alcuni critici.
” In quel senso é giá stato fatto tutto, c’é giá stato un momento in cui l’arte concettuale che ha avuto il suo culmine, le ultime biennali sono un continuo ripetere le esperienze dell’avanguardie, per portarle agli estremi, in veritá non stanno inventando nulla di nuovo, e comunque il loro linguaggio é molto distante dal pubblico, sono opere autoreferenziali, io voglio esprimermi e comunicare” e i rapporti tra artisti? “Gli artisti adesso cercano di diventare primedonne, é difficile comunicare tra di noi, non é piú come una volta in cui ti trovavi nel circolo, parlavi, discutevi, posso ritrovarmi solo con qualcuno, c’é peró in genere una volontá di primeggiare che non ha senso,l’arte é una esperienza personale, non dovrebbe esserci competizione “.
Il tuo artista di riferimento? “Lucian Freud, lui fa nella pittura quello chi io faccio con la scultura, attraversa la carne“.