UDINE – I friulani del Venezuela devono sapere che nella loro regione d’origine è tornato a soffiare il vento delle rivendicazioni collettive. Ma non a parole: nei giorni scorsi si è costituito a Udine il Comitato per l’Autonomia del Friuli che raggruppa personalità di tutti i partiti ed esponenti delle più diverse categorie accomunati dall’obiettivo di rivendicare la specificità culturale, storica, linguistica ed economica della loro terra. Motivo del contendere: la bozza del nuovo Statuto regionale che ignora totalmente quella specificità. “Ma fa di più, e di peggio: ci mette al servizio di Trieste di cui esalta il soffocante centralismo”, dicono.
Alla presidenza del Comitato è stato chiamato per acclamazione il prof. Gianfranco D’Aronco,”autonomista emerito”, così viene definito perché è considerato il padre di tutte le rivendicazioni del Friuli. Gli sono accanto personaggi di spicco: Adalberto Valduga, per esempio, presidente della Camera di Commercio, Sergio Cecotti, sindaco di Udine, Lorenzo Pelizzo, presidente della Società Filologica Friulana, Marzio Strassoldo, che oltre ad essere presidente della Provincia è anche presidente dell’autorevole Ente Friuli nel Mondo, e ci sono Mario Toros, che dell’Ente è stato recentemente nominato presidente emerito, e il direttore Ferruccio Clavora. E poi politici, imprenditori, intellettuali: tutti trasversali, si è detto, e al cronista si rifiutano di dire a quale parte politica appartengono. “Niente centro-destra o centro-sinistra. Scriva che siamo friulani, punto e basta”.
Il pragmatismo, anzitutto. Chi pensa (o spera) che da questo comitato possa nascere la scissione dalla Venezia Giulia si sbaglia. “L’unità regionale va salvaguardata, ma non può essere il Friuli a farne le spese”, è stato detto con chiarezza. Ed ecco la proposta: introdurre nel nuovo Statuto regionale l’Assemblea delle Province Friulane (Udine, Pordenone e Gorizia) con il compito di elaborare progetti comuni a tutto il Friuli e coordinare le amministrazioni provinciali nella loro attuazione. Una sorta di parlamento friulano, alternativo (o quanto meno parallelo) a quello regionale.
Velleitarismo? Niente affatto: nei prossimi giorni il Comitato per l’Autonomia del Friuli incontrerà i vertici della Regione per chiedere ufficialmente di prendere atto della proposta e di inserirla nel nuovo Statuto. E se non se ne farà niente? “Non molleremo”, dicono al Comitato. “Anche a costo di portare a Trieste decine di migliaia di friulani: non possiamo restare inermi di fronte alla sottovalutazione sistematica della nostra specificità”.
Tre quindi gli aspetti nuovi di questa ondata di autonomismo: abbandono di ogni etichetta politica in nome della friulanità, rifiuto della scissione e rivendicazione della propria identità, una proposta concreta da sottoporre ai vertici regionali che nei mesi scorsi hanno riscritto lo Statuto regionale. Raramente in Italia certi processi hanno uguale pragmatismo e altrettanta determinazione: perciò vale la pena parlarne.
Naturalmente, l’iniziativa dei friulani amplificata dal “Messaggero Veneto” il quotidiano di Udine, viene trattata con sufficienza, se non con fastidio, dai giuliani.
“Friuli contro Trieste, rispunta Udine capitale”, ha titolato a tutta pagina nei giorni scorsi “Il Piccolo”, quotidiano di Trieste. E non mancano, anche tra i friulani, gli scettici sulla proposta dell’Assemblea delle Province: “È un carrozzone in più che non risolve i problemi”, dicono. Ma tutti sono d’accordo su una cosa: che la creazione del Comitato per l’Autonomia mette in luce un disagio reale.
Ferruccio Clavora, direttore dell’Ente Friuli nel Mondo, disegna i connotati del disagio. “Deriva”, dice, “dalla struttura che si è voluto dare alla Regione che concentra a Trieste tutti i centri del potere. A Udine abbiamo la rappresentanza di alcuni assessorati, ma le decisioni si prendono altrove. E allora vogliamo rinegoziare un equilibrio della presenza istituzionale su tutto il territorio della Regione”.
Qual è l’addebito maggiore che l’Ente Friuli nel Mondo muove alla bozza del nuovo Statuto?
“L’aver ignorato la grande risorsa che è la diaspora friulana nel mondo. Nel momento in cui si riconosce agli italiani all’estero il diritto di voto, la bozza di Statuto non prende nemmeno in considerazione la possibilità che i friulani sparsi nel mondo, e sono tanti, possano eleggere un loro rappresentante nel Consiglio Regionale”.
E allora?
“Allora, noi chiederemo con determinazione che nello Statuto venga inserito il diritto di voto ai friulani residenti all’estero. Vogliamo che la Regione riconosca l’esistenza e il ruolo della sua diaspora, che deve entrare a far parte di tutte le leggi regionali”.
Per questi motivi appoggiate il Comitato per l’Autonomia del Friuli?
“Certamente. La massiccia adesione della società civile friulana al Comitato sta a significare che esso può essere lo strumento del rilancio di una moderna politica autonomistica che tenga conto della posizione del Friuli nella nuova Europa, che gli consenta di fare anche una ben definita politica estera e che lo ponga all’avanguardia nel processo di decentramento in atto nel Paese. Ora, tutto questo non può venire dall’alto, deve nascere come esigenza della collettività. È quello che sta accadendo. Il Comitato ha lanciato una nuova pedagogia dell’autonomismo. Ma sia chiaro: noi auspichiamo un atteggiamento costruttivo, non antitriestino”.
Vittorino Meloni, ha diretto per 26 anni il “Messaggero Veneto” al quale continua a collaborare con rigorose analisi politiche. Per formazione culturale e per il ruolo che ha avuto nella società contemporanea, è un testimone di primo piano della storia recente del Friuli. Lui la mette così: “Fino a una decina di anni fa c’era un patto non scritto, ma garantito dalla Dc, dal Psi e anche dal Pci, secondo il quale Trieste era il capoluogo della Regione e triestino doveva essere il presidente del Consiglio, ma presidente della Regione doveva essere un friulano. Quindi era la politica a garantire gli equilibri, che ovviamente non si limitavano a distribuire le cariche. Dal ’92 il patto è venuto meno perché la politica è scomparsa: per i friulani c’è stata una progressiva emarginazione e Trieste ha sistematicamente capitalizzato la rendita di posizione che le derivava dall’essere il capoluogo”.
Da qui il disagio…
“Sì, e dovuto alla scomparsa della politica che equilibrava le spinte e le aspirazioni delle due aree che compongono la Regione. Nella quale, badi bene, si sono voluti riunire il Friuli con la sua specificità storica, linguistica e imprenditoriale, e quella parte della Venezia Giulia rimasta all’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Qui spiccava Trieste che per secoli era stata lo sbocco al mare dell’impero asburgico. Due aree differenti per ragioni storiche e culturali, ma che si vollero tenere insieme perché si pensò, giustamente, che una collaborazione tra esse avrebbe contribuito allo sviluppo di entrambe. Così è stato fino a una decina di anni fa, le dicevo…”.
E ora?
“Il crollo della politica ha fatto emergere ciò che divide i friulani dai giuliani e ha affossato ciò che li unisce. La nascita del Comitato per l’Autonomia del Friuli è, secondo me, il ritorno della politica. Rifletta: per la prima volta dopo tanti anni i friulani sentono parlare del Friuli nel suo complesso e non di circoscritti interessi strumentali, poi il Comitato è frutto di una intesa trasversale che supera gli attuali schieramenti, infine non si chiede il distacco dalla Venezia Giulia ma il ritorno a quegli equilibri che prima erano garantiti dalla politica. Io leggo così gli avvenimenti di questi giorni”.
E la proposta di creare un’Assemblea delle Province Friulane?
“La lascerei perdere. Ci sono altre strade meno complicate e più funzionali per rivendicare la specificità del Friuli, e sono certo che verranno trovate. Una può essere quella di spostare a Udine il capoluogo della Regione e di riconoscere a Trieste lo status di città metropolitana sul modello di Amburgo, per esempio. Lo merita. È impossibile ignorare Trieste. Non solo per quello che è stata, una grande città mitteleuropea, ma anche per quello che è: un punto di riferimento per la nuova Europa. Tutto questo non cozza con l’esigenza dichiarata dal Comitato di operare un riassetto amministrativo e una più equa ripartizione dei ruoli e delle risorse affinché il Friuli abbia quello che non ha avuto. Ma sia chiaro per tutti: la voglia di autonomia non viene da complotti, ma dall’anima del Friuli”.
Antonio Maglio